Mafia, ecco la german-connection tra Colonia e Licata
Chi ha detto che in Germania la mafia non c’è? I reporter di Irpi raccontano l’indagine della polizia tedesca e italiana che ha svelato un network che abbraccia edilizia, droga e corruzione politica.
La mafia non esiste. Men che meno in Germania. Questo è ciò che dichiara il governo tedesco, che i cittadini prendono in parola. Ma i dati ufficiali sono inesatti e la verità è tristemente all’opposto. La Mafia è sempre più presente in Germania. Ed è forte, molto forte. È soltanto analizzando le carte giudiziarie di indagini ancora in corso, portate avanti in collaborazione dai pool antimafia italiani e dalla Polizia Federale Criminale Tedesca, la BKA, che emerge il quadro complessivo. A conti fatti, in Germania ci potrebbero essere addirittura piu di 1200 membri riconducibili alla criminalità organizzata nostrana. Un piccolo esercito o, se preferite, un social network.
Quindi la mafia c’è. Ma nelle statistiche si troverà solo se la si cerca. “Il crimine organizzato proveniente dall’Italia in Germania ha infiltrato ogni settore. Dalle costruzioni, alle energie alternative, dalla gestione dei rifiuti all’azionariato di grandi aziende o banche. Comprano voti e influenzano le elezioni tramite la corruzione,” dice Roberto Scarpinato, Procuratore Generale del pool antimafia di Palermo.
Uno degli esempi più lampanti della forza della mafia in Germania è “l’Operazione Scavo”, iniziata come indagine sull’evasione fiscale, ma che mostra come i reati consumati oltralpe siano molto più importanti. L’operazione comincia il 17 gennaio 2013, quando 17 persone vengono arrestate. Alcune in Germania, alcune su rogatoria internazionale a Licata, una piccola cittadina dell’agrigentino. Sembrava solo un’operazione contro l’evasione fiscale, aziende edili aperte da siciliani in Germania che non versavano le tasse. Ma presto si scopre che sotto c’era molto di più.
Grazie a documenti ottenuti in esclusiva da FUNKE Mediengruppe e da ricerche congiunte portate avanti dal caporedattore David Schraven e dai giornalisti del centro di giornalismo d’inchiesta Irpi in collaborazione con il giornale agrigentino Grandangolo, Wired può oggi raccontare una storia inedita.
Qualcuno, un giorno, deve avere incaricato Gabriele S., originario di Licata e frequentatore di Colonia dagli anni ’90, e Rosario P., di Riesi ma in Germania dal 1972, di gestire quella che gli investigatori tedeschi hanno soprannominato la Baumafia, la “mafia delle costruzioni”. Gabriele P. a Colonia, Rosario P. a Dortmund. Quello che c’era nel mezzo, ovvero Essen e Bochum, veniva spartito a seconda degli affari e dei momenti.
I due dovevano coordinare i cosiddetti ‘procacciatori di prestanome’, i quali dovevano trovare tra parenti e amici in Sicilia dei poveri diavoli che si vendessero per poche migliaia di euro. I procacciatori erano senza dubbio il commercialista pregiudicato Massimo E., Biagio S., Agatino F., Vincenzo S. fratello di Gabriele S. e Salvatore V. (fino a che non ha deciso di iniziare a collaborare con le autorità tedesche). Dopodiche, tra gli arrestati e indagati ci sono Domenico I., Giuseppe C., Lisa Maria F., Giovanni D., Salvatore A., Fabrizio R., Antonio C., Angelo C., Michele F., Antonio D., Giuseppe M. e Gabriele F..
Usando questi prestanome, Gabriele S. e Rosario P. aprivano una serie di aziende edili che avevano il solo scopo di operare come “shell companies”, ovvero come scatole per il riciclaggio. Il meccanismo funzionava in questo modo: il denaro veniva trasferito sui conti correnti delle aziende in questione per pagare delle fatture false, a cui non corrispondeva alcun servizio di costruzione. A quel punto il prestanome-titolare li ritirava in contanti. Il 90% della somma veniva riconsegnata all’imprenditore che aveva comprato la fattura falsa, il 10% invece va ai “manager” Gabriele S. e Rosario P., che li usano per pagare i commercialisti, i prestanome, e i macchinoni per se stessi. Un sistema geniale. Da milioni di soldi trasferiti legalmente, creano milioni di fondi neri, rimpiegabili nella stessa Baumafia, per corrompere politici o per finanziare altre attività illecite. Un passaggio di denaro che viene prima “sporcato” e poi prontamente ripulito. Questo, emerge dalle indagini della BKA, è stato fatto per almeno 430 aziende. Di certo, non è Gabriele S. – bocciato tre volte alle elementari – l’ideatore di questo sistema. La “Baumafia” di Gabriele S. e Rosario P. era crimine “disorganizzato”. I due discutevano praticamente ogni giorno, e spesso, venivano fissati degli incontri per risolvere i contenziosi. Le discussioni dovevano avvenire in alcuni specifici luoghi d’incontro: il bistrot a Dortumund, e il bar Italia90 a Colonia, gestito da Mario G.. I bar sono importanti. Lo stesso Gabriele S. dalla fine del 2011 gestiva un bar a Colonia, il Jolly Bar, anch’esso punto di incontro della Baumafia. Il banco di prova lo avevo avuto dal 2009 al 2010 a Licata, quando anche li aveva gestito un bar. Più che un bar, spiegano i Carabinieri, un buco nero del traffico di cocaina. Un affare, quello della cocaina, che Spiteri aveva importato anche in Germania, e più precisamente, nella sua panetteria a Colonia, la Pasticceria Centro Italia. I clienti ordinavano coca via telefono: “pasta in bianco senza salsa”. O, in caso di grossi quantitativi, si parla di auto bianche. Cento, duecento grammi di coca a settimana le vendite. Ma Gabriele S. è egli stesso un consumatore. Un vizio che porta anche a casa in Sicilia, nelle feste che da a Licata, nella villa – oggi sequestrata – che si è costruito grazie ai guadagni di anni di presunta illegalità in Germania. “Gabriele S. consumava tanta cocaina quanta l’intera Colonia”, racconta agli investigatori Calogero D. di Ravanusa, classe 1963. Arrestato assieme ai fratelli S. egli è, per gli investigatori tedeschi, un collaboratore del trafficante. Eppure viene chiamato ogni qualvolta ci sia un problema da risolvere e – aggiungono le indagini – sembrerebbe quello con contatti più in alto. Per chi conosce li meccanismi mafiosi, è lampante che né Gabriele S. né Rosario P. agissero per conto proprio. I due erano stati messi li, con ordini precisi, e avevano un bel mastino alle calcagna, Calogero D. appunto. Calogero D. ai tedeschi dice di non essere mafioso: “Alcuni anni fa le autorità italiane si erano sbagliate, ma è stato tutto chiarito”. Non esattamente. Calogero D. viene scarcerato nel 1994 dopo due anni e quattro mesi di carcere per avere preso parte ad un omicidio di mafia. All’epoca, conosciuto col soprannome di Lillo Aglialuoro, era guardaspalle di Vito Mirabile, un uomo del boss Angelo Ciraulo, poi fatto ammazzare da Giuseppe Falsone in una guerra di potere che ha spostato il comando del mandamento da Ravanusa a Campobello di Licata per molti anni. Morto Ciraulo, Calogero D. decide di collaborare con la giustizia e fa trovare un arsenale. Ma il suo pentimento è considerato parziale dalle autorità, che non lo considerano affidabile. Seppure in primo tempo ‘condannato a morte’ dai boss rimasti Calogero D., viene lasciato vivere ed, evidentemente, crescere. Nell’ombra, deve avere fatto carriera fino ad arrivare in Germania. Si reca infatti a Colonia appena riesce, alla fine degli anni novanta, uscito dal carcere. Lì si fa strada aprendo un’azienda di pulizie, e poi si dà alla Baumafia. Il fascicolo della polizia tedesca su Calogero D. si ispessisce. Viene condannato per evasione fiscale, estorsione, rapina, truffa, aggressione. Dal fascicolo emergono anche contatti nel mondo del traffico di droga e prostituzione. Ma chi aveva dato a Calogero D. il potere d’azione all’interno della Baumafia? Un suggerimento emerge grazie ad un curioso episodio che si svolge attorno al Jolly Bar di Gabriele S. a Colonia, a metà gennaio 2013. Appena prima dello scattare delle manette. È il 14 gennaio, e in un’intercettazione Gabriele S. parla con Biagio S. di un nuovo arrivo, un ragazzo, Angelo B., classe 1977, di Gela. Molto probabilmente un nuovo prestanome. La polizia interviene. È il momento in cui scattano gli arresti per tutti i 17 della Baumafia. Viene fermato anche Angelo B, interrogato, e rilasciato. Ma poche ore dopo viene fermato nuovamente, mentre si trova in un auto speciale. Un’auto registrata a nome di Angelo O.. Angelo O. non è uomo qualsiasi. Nato a Licata nel 1954, Angelo O. ha una caratura criminale ben più significativa di Calogero D.. Già a fine anni ‘80, secondo la DIA, Angelo O. operava in Germania in strettissimi rapporti con Carmine Ligato, un influente boss della ‘Ndrangheta. Referente di tutte le operazioni commerciali fra mafia agrigentina e ‘Ndrangheta, Angelo O. già nel 1997 era sotto il radar della polizia tedesca. In Sicilia era uomo di Giuseppe Falsone, e pare fosse stato il boss agrigentino in persona ad indicarlo come capomandamento di Licata in suo nome. Angelo O., assieme a Pasquale Cardella, aveva preso il controllo della cittadina dopo il quadruplice omicidio di Brunco-Lauria-Greco-Cellura. Nel 2011, Angelo O. finisce in carcere per estorsione, e Cardella cerca di tenere il mandamento per se. Poco dopo Angelo O. esce, ma il suo riferimento, il boss Giuseppe Falsone, latitante per molti anni, era stato catturato. A quel punto, Angelo O. mira a scavalcare i suoi partner e a prendere per se il controllo di Licata, andando a chiedere la benedizione dell’allora capomandamento di Canicattì, Calogero D. (omonimia con il Calogero D. della Baumafia, n.d.r.). Perchè la sua auto fosse a disposizione del giovane Angelo Bugiada non è chiaro, ma la presenza di Occhipinti in Germania potrebbe indicarlo come il capo mandamento di Colonia. E si spiegherebbe a chi risponde Calogero D., e tutta la “Squadra Scavo” di Colonia. Gabriele S. deve forse la vita alla BKA, l’anticrimine tedesca. Perchè per comportamenti paragonabili ai suoi, l’abuso di cocaina e l’inaffidabilità, in passato era stato eliminato qualcuno di ben più importante di lui. “Sì, la mafia oggi di regola non uccide più, visto che seguiamo la pax mafiosa e il “business model” dettato da Matteo Messina Denaro”, racconta un ex-killer di Cosa Nostra sentito in esclusiva dal progetto Mafia in Deutschland. “Ma se le cose si mettono male, si uccide. E certo, non lo si fa in Germania, dove è importante non destare alcun sospetto.” L’omicidio è quindi una soluzione di extrema ratio, ma sempre utilizzata se serve a proteggere gli affari. Lo dicono chiaramente due recenti ed efferati omicidi di palmesi di Manneheim, entrambi voluti in Sicilia. Uno, quello di Calogero Burgio, crivellato di colpi a Palma, sotto casa, come avvertimento. L’altro, poco dopo, una tipica lupara bianca, per gli sfortunati Giuseppe Condello e Vincenzo Priollo. Quest’ultimo solo un autista, ma l’altro, Condello, niente meno che il capo mandamento di Mannheim. Ma perché Condello è stato eliminato? Ce lo racconta in esclusiva l’ex-killer della Cosa Nostra trapanese, che i due morti ammazzati li aveva conosciuti in passato e incontrati di nuovo in Germania. “Condello era il capo mandamento a Mannheim. Sono stiddari, ma ormai Stidda e Cosa Nostra sono la stessa cosa. Da quando comanda Matteo Messina Denaro la regola è una: il business. Oggi non si spara più, a meno che non sia strettamente necessario. E la condanna a morte di Condello è stata discussa tra tutti gli altri capi mandamento dell’agrigentino. Nessuno si decideva. Ma Condello era ormai un cane pazzo, fuori controllo, usava troppa cocaina ed era uscito di testa, non era più affidabile.” Condello cane-pazzo aveva infastidito il capo di capi, Denaro, ci racconta l’ex-killer: “Che aveva detto ai capi mandamento agrigentini o ci pensate voi, o ci penso io.” E così, la condanna a morte è stata firmata. A fine gennaio 2012 Condello è stato ammazzato assieme a Priolo e infilato in un cunicolo di uno scolo d’acqua nelle campagne di Palma di Montechiaro. Condello faceva la spola, nonostante una misura restrittiva, seguendo quella logica mafiosa che necessita prima di tutto la presenza costante nel mandamento italiano, e, in secondo luogo, nel suo riflesso tedesco. Ma quello che conta non è l’omicidio in se, bensì che sotto Matteo Messina Denaro la mafia abbia cambiato volto, e abbia fatto un patto, perfettamente funzionante in Germania, tra varie province mafiose. Parliamo di Trapani, che tiene le redini, Palermo ed Agrigento. Questo è stato confermato anche dalle nostre ricerche. In particolare emerge dai legami che l’azienda tedesca CEON intratteneva con alcune delle aziende della galassia Calogero D. in Germania. Questa azienda è controllata dalla famiglia B-P., parenti molto stretti di Matteo B., condannato a 23 anni per traffico internazionale di droga. La famiglia B., di Partinico, è riconosciuta essere vicina ai Vitale, boss di quella zona del Palermitano. Quanto sia sbagliato pensare che la Baumafia sia solo un piccolo gruppo di criminali auto-organizzati ce lo confermano le dichiarazioni di un nuovo pentito. Parliamo di Giuseppe Tuzzolino, un architetto che – nonostante le indagini della DDA di Palermo nascondano ancora la maggior parte dei dettagli – si è scoperto essere stato il braccio destro di Condello nell’organizzare truffe milionarie proprio nel Comune di Palma di Montechiaro. Truffe che però, assicura Tuzzolino, vanno ben oltre il Comune di Palma. Arriverebbero infatti proprio fino in Germania, nella rete di milioni di fondi neri che la BKA ha soprannominato Baumafia. Non mancano le connessioni con la politica. La Baumafia della Nord-Reno Westfalia sembra avere capito come trovare supporto anche al di la dei semplici affiliati mafiosi. Ha capito che per nascondere meglio il suo volto, deve lavorare anche sulla politica. E lo fa in due modi. Innanzitutto cercando di permeare quella tedesca: o con la corruzione, o la compravendita di voti. A Norimberga alcuni anni fa si è messa a punto una vera e propria strategia della mafia per la compravendita dei voti. Gli italiani in Germania potevano votare il candidato prescelto e guadagnarsi in cambio 50 euro, una pratica ben conosciuta in Sicilia. Il secondo metodo che sembrerebbe essere stato adottato è quello del sostegno ai politici italiani in Germania, almeno a giudicare dagli innumerevoli bigliettini da visita di politici italiani, tutti vicini alla destra di Berlusconi, che Calogero D., l’uomo di punta della ‘squadra scavo’, aveva nella sua agenda sequestrata. Contatti con politici italiani in Europa. Interrogato dagli inquirenti il Baumafioso dice: “Si trattava solo di politica”. Un grande senso civico, quello di Calogero D., che, racconta lui stesso, si occupava “di tirare su voti per i parlamentari italiani all’estero”. E lo ha fatto anche per il pidiellino siciliano Massimo Romagnoli, durante la scorsa campagna elettorale. Riscuotendo un certo successo. Nel 2006 infatti, Romagnoli viene eletto deputato alla Camera con 8.700 voti provenienti dall’estero. La maggior parte di questi erano stati raccolti proprio a Colonia. È possibile che Massimo Romagnoli non sospettasse minimamente con chi se la facesse Calogero D., ma quest’ultimo lo cita anche durante l’interrogatorio con la BKA tedesca. Agli inquirenti racconta di avere avuto una richiesta di aiuto da parte di Massimo E., il commercialista della Baumafia, quando questo si trovava in carcere in Germania. Gli serviva un passaporto. Calogero D. dice di avere pensato a Romagnoli. Poi, dice di essersi “mosso con i miei contatti e in quattro settimane glielo ho fatto avere.” Massimo Romagnoli nega di aver mai ricevuto tale richiesta. “Conosco Calogero D., mi ha aiutato con la campagna elettorale,” ha spiegato a Irpi, “aveva un’impresa di pulizie. Ma questo Massimo E. è la prima volta che lo sento nominare.” “Personalmente non ho mai ricevuto richieste di questo tipo” continua Romagnoli, al momento impegnato con Forza Italia nella campagna elettorale per le elezioni europee “nè da Calogero D. nè da nessun altro”. Roberto Scarpinato, Procuratore Generale a Palermo, è categorico quando parla del potere di seduzione intrinseco a Cosa Nostra. “La mafia in Germania vuole che i tedeschi pensino che non esista. Non ha più bisogno di essere violenta. Può sedurre con il capitale. Certo, c’è ancora una faccia violenta della Mafia, in Italia, ma si mostra solo quando il potere di convincimento dei soldi non basta. In realtà, il mondo oggi rischia di essere conquistato dalla Mafia tramite la seduzione del capitale, e paesi come la Germania sono ad alto rischio. Quando non si cerca di capire la fonte dei soldi, e si accetta l’ingresso indiscriminato di capitale nel proprio paese, allora è la moralità stessa di un popolo che è a rischio. In tempi di crisi come oggi, il potere del denaro e della corruzione possono diventare un’epidemia che scuote una società dalla fondamenta. La Germania deve decidere se accogliere la Mafia, o combatterla.” Cecilia Anesi / Giulio Rubino / IRPI